Il magistrato Giuseppe Maria Berruti ha scritto al direttore del Corriere della Sera per esporre il suo pensiero in materia di difesa dei diritti, prendendo spunto dal confronto valoriale tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro, che il caso Ilva ha imposto all’attenzione del pubblico. Il magistrato non esita a definire il confronto una “scelta pazzesca” e svolge la riflessione in tema di tutela dei diritti, trattenendosi sulle istanze di difesa, insoddisfatte, dei cittadini più deboli, constatando che “Il mondo prende atto ogni giorno della indifendibilità dei deboli e della prevalenza della irresponsabilità” e concludendo che “…sia fatale che questa complessiva barbarie giuridica evochi lo strumento penale anche preventivo”, posto che “provare oggi a rincorrere un banchiere che ci ha danneggiato con il suo artefatto dissesto, con gli strumenti dell’azione civile, è pura fantasia”. Il magistrato avverte che “La fase che attraversiamo è inesplorata. La politica e gli uomini del diritto debbono fare meglio la loro parte, che deve muovere dalla constatazione…dell’esistenza di delitti che possono distruggere diritti non risarcibili”. Il direttore percepisce il segnale del magistrato e pubblica la lettera, allertando l’attenzione dei lettori con un titolo drammatico “La civiltà giuridica a una svolta”. Se la politica e i protagonisti del diritto, studiosi, magistrati e avvocati, non sono in grado di offrire risposte alle esigenze della società insidiata da nuove modalità di aggressione dei diritti, il percorso di civiltà potrà mutare, subendo una involuzione profonda, se non irreversibile. Gli strumenti a disposizione dei protagonisti sono previsti dalla legge e in essa si esauriscono. L’impero del diritto si evolve in base ai valori ed ai principi universalmente condivisi nel mondo occidentale, che si concretizzano in funzioni e poteri, ma non disegnano e non consentono prepoteri. L’allarme del magistrato merita di essere colto e dibattuto. Come avvocato percepisco le istanze insoddisfatte dei cittadini, avverto l’urgenza di un impegno condiviso e concordo sull’opportunità della tutela del sistema di garanzia dei diritti. Mi permetto di contraddire sulla degradazione del diritto civile rispetto al diritto penale, ritenendo che gli interventi consentiti in materia di diritto dell’economia possano essere efficienti, a condizione che il titolare del diritto, utente del sistema, non si esima dall’esercizio pronto e informato del diritto, declinando le proprie responsabilità di persona e di cittadino, e reclami conseguentemente pronte e puntuali risposte di sistema. Lo stato non veglia sui cittadini. I cittadini costituiscono la comunità nazionale e contribuiscono con il personale impegno o disimpegno al funzionamento virtuoso o vizioso del sistema complesso di cui sono parte. Non interloquisco sul caso Ilva, che non conosco nello specifico, pur avendo maturato, in base alle notizie diffuse dalla stampa, il convincimento che i valori in confronto (diritto alla salute, da una parte, e diritto allo sviluppo della comunità nazionale, non solo diritto al lavoro dei lavoratori dipendenti, dall’altra) possano essere composti virtuosamente. Propongo il tema, appena sfiorato dal magistrato, della cultura di impresa e del mercato, ritenendo che le disfunzioni tratteggiate nella lettera non costituiscano fallimento del mercato, né delle istituzioni, quanto, piuttosto, evidenza delle incapacità di persone che incarnano le istituzioni. Gli studi sul diritto dell’economia riflettono, male, l’evoluzione del diritto anglosassone. La pratica giudiziaria è incerta, pregiudicata dal difetto di cultura di impresa. Il risultato è devastante. La fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, nota anche come leveraged buy out, introdotta nel codice civile con la novella di diritto societario, ottimamente disegnata nella previsione normativa, ha devastato l’economia nazionale, a causa della pessima applicazione, dovuta a imprenditori spregiudicati, professionisti accondiscendenti e risparmiatori ignari e rassegnati: una miscela micidiale che ha distrutto produzione e risparmi. Nel caso della società quotata Seat Pagine Gialle, emblematico per la avventurosità dei protagonisti e per la rassegnazione dei risparmiatori, oltre che per l’ingente disvalore dell’operazione, gli strumenti di tutela del risparmio, prezioso bene costituzionale, non hanno funzionato per nove anni, finchè il legale (chi scrive) di un risparmiatore non si è impegnato nella vicenda per passione civile, oltre che per dovere professionale. Del tutto carente dei giustificati motivi richiesti dalla norma, l’operazione di acquisizione a debito (per tre miliardi) è stata doppiata, all’inizio del primo esercizio, tre mesi dopo il completamento della fusione, dalla distribuzione di dividendi finanziati dal debito (per quasi quattro miliardi). La società, stremata all’origine da un debito insostenibile, pur macinando ricavi e margini di eccezionale interesse, è entrata immediatamente in crisi, il titolo azionario è crollato, ma il corso non è stato sospeso, la direzione non è stata chiamata a rendere ragione della gestione, i risparmiatori non sono stati avvertiti e in seguito, malgrado la mia puntuale e tempestiva segnalazione alla Consob di responsabilità pregresse, almeno presunte in base ai documenti noti, sono stati sostanzialmente espropriati del titolo con una ulteriore avventurosa operazione straordinaria. L’iniziativa giudiziaria di sequestro dell’azienda da parte di un coraggioso gruppetto di azionisti di minoranza, affidati ai miei uffici, è stata interdetta dalla domanda di concordato preventivo e, allo stato, il tribunale competente ha ammesso la società al concordato, invece di dichiararne il fallimento, con ogni conseguenza di legge. La relazione dell’esperto, richiesta dalla legge a fini di analisi dei fatti di gestione e di valutazione delle prospettive, non è stata pubblicata. Nel corso della gestione, la guardia di finanza ha ritenuto elusiva l’imputazione al reddito di impresa degli oneri finanziari straordinari del debito, ma la definizione dell’accertamento con la agenzia territoriale ha esonerato la società dal pagamento di imposte presumibilmente miliardarie, dati i ricavi e i margini. La stampa, in particolare la stampa specializzata, non è esente da responsabilità, che saranno valutate in sede propria. Gli azionisti di minoranza, molti dei quali hanno perso i risparmi di una vita, ritengono che le istituzioni siano state manchevoli nei loro confronti, essendo soltanto adesso sfiorati dal sospetto che fosse loro richiesta l’iniziativa di tutela. Che dire della Consob che, pur chiamata nel giudizio di sequestro, non si è costituita, sfuggendo al confronto e all’esposizione delle ragioni della sua ritenuta inattività? Il caso è in itinere e il contraddittorio tra le parti potrà produrre i suoi effetti efficienti, se la risposta del sistema alla domanda di giustizia sarà pronta e puntuale. Il diritto civile offre tutti gli strumenti, dalla diagnosi precoce dello stato di dissesto alle azioni cautelari e interdittive, dal fallimento alla segnalazione e all’interdizione dell’illecito concorrenziale, oltre naturalmente all’azione risarcitoria che, nel caso Seat Pagine Gialle, potrà essere svolta, a norma di legge, con soddisfazione degli azionisti di minoranza, nei confronti di tutti i soggetti solvibili che hanno concorso alla produzione dei danni. La sanzione penale, se e in quanto comminata all’esito di un annoso procedimento, non potrà risarcire il danno dei risparmiatori, come hanno dimostrato le improduttive costituzioni di parte civile a raffica nei più noti processi penali per reati finanziari. L’effetto dissuasivo della condanna penale concorre con l’avidità della criminalità finanziaria, che tende a considerare il procedimento penale un rimediabile o sostenibile incidente di percorso, alla stregua di un normale rischio di impresa. La civiltà giuridica è in pericolo, se il cittadino non prende coscienza della necessità del suo impegno personale nel ricorso agli strumenti approntati dalla legge a tutela dei suoi diritti.
Ugo Scuro